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Quello che nell’Orestiade africana rimane entro un orizzonte di armonia e sintesi, per quanto precarie e ideali, e in Medea diventa invece uno scontro sanguinoso e antagonista, nella sceneggiatura San Paolo viene interpretato in un terzo modo. Qui la tensione fondamentale non si mostra né in forma di un conflitto antagonista, né nella speranza di una sintesi armonizzante, ma viene piuttosto interiorizzata: Medea e Giasone diventano i due aspetti di Paolo come in una figura multistabile (Kippbild: http://www.ici-berlin.org/core-project-spannung-tension/kippbildermultistable-figures). Il Paolo di Pasolini ha letteralmente due facce e oscilla in maniera inaspettata da una figura animata da una grande e genuina passione politica a una figura pragmatica e assetata di potere. Come Pilade, anche Paolo è un alter ego di Pasolini, diviso tra un “Fariseo nato nella norma, nella legalità e nel privilegio” e un Paolo ‘notturno’, estatico, mistico, eccessivo.
Anche qui ha luogo lo spostamento temporale di un racconto centrale dell’Occidente, che viene trasferito all’epoca contemporanea a Pasolini producendo relazioni complesse, contraddittorie, scabrose e sconcertanti, come ad esempio l’identificazione di Impero Romano, nazisti tedeschi e soldati americani, attraverso la quale i salvatori di Auschwitz sono ridotti a essere complici dei nazisti. Altrettanto sconcertante appare la posizione degli ebrei: i farisei vengono avvicinati da Pasolini alla posizione dei collaboratori, mentre i primi cristiani divenuti martiri sembrano essere identificati con gli ebrei durante il terzo Reich.
San Paolo è interessante anche per il rinnovato interesse che le opere di filosofi quali Alain Badiou e Giorgio Agamben hanno rivolto al pensiero di Paolo[5]. >>>
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