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In che modo l’interpretazione di Pasolini può avere anticipato le letture di Agamben e Badiou? O piuttosto: in che misura le letture di Agamben e Badiou possono servire a comprendere il senso dell’operazione pasoliniana? È possibile vedere una relazione tra l’utopia pasoliniana di una lingua cinematografica universale[6] e la questione complessa e controversa dell’universalismo? E d’altro canto come si colloca questa utopia di universalismo rispetto alla posizione di intellettuale borghese ed europeo che Pasolini si riconosce costantemente e che costantemente sfida, assumendo una prospettiva eccentrica e paradossale che non gli permette né di ricomporre le contraddizioni in alcuna sintesi né di consolidarsi su una sola posizione, ma che lo spinge a cercare sempre nuovi modi di rendere “queer” tanto posizioni politiche quanto ordini discorsivi ed estetici sentiti come troppo rigidi e fissi?
Dunque, già nei lavori nati intorno al 1968 Pasolini si è occupato intensamente di chi è “altro” rispetto all’Europa, e quindi dell’Europa stessa, confrontandosi con Atene e Gerusalemme, mondi divenuti ormai estranei e di cui Pasolini si appropria allontanandoli ulteriormente nello spazio e nel tempo.
Inoltre, non bisogna dimenticare che Gerusalemme e altre città sacre della cristianità non hanno mai fatto parte dell’Europa. E che la stessa Atene classica era il centro di uno spazio culturale in cui Europa, Asia e Africa usufruivano del Mediterraneo come di un comune e agevole spazio di comunicazione. È come se un viaggio nel tempo abbia permesso a Pasolini di interrogare temi e testi in cui aveva incominciato a prendere forma un’Europa per lui problematica o in cui la costituzione stessa dell’Europa era stata messa in discussione; ed è come se questo viaggio nel tempo gli abbia permesso di muoversi in uno spazio che non conosceva ancora i confini culturali di oggi e che è quindi adatto a metterli in discussione anche nel presente. >>>
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